Jesús Morán, sacerdote e co-presidente del Movimento dei Focolari, è laureato in filosofia presso l’Università Autonoma di Madrid, ha conseguito una licenza in teologia dogmatica presso la Pontificia Università Cattolica di Santiago del Cile.
Ha pubblicato diversi articoli su temi di antropologia filosofica e teologica.
Di seguito due riflessioni sull'esperienza del Dialogo e confronto tra il co-presidente del Movimento dei Focolari Jesús Morán e alcune persone (credenti e non credenti).
Qui Jesús Morán delinea i principi guida del Dialogo, ne mostra le valenze antropologiche, sottolinea la centralità e il valore che Chiara Lubich ha assegnato alla pratica del Dialogo.
La mia passione
Il dialogo è un tema che, per circostanze diverse, ho avuto la possibilità di meditare tutta la vita. La prima occasione, forse, gli studi di filosofia fatti a Madrid nei difficili anni ‘70, gli ultimi della dittatura di Franco. Era un'epoca di grandi cambiamenti nella società spagnola. La facoltà di filosofia dell'Università Autonoma a cui ero iscritto, era un concentrato di eterodossi che non entravano negli schemi: marxisti, positivisti ed altri, nonostante ci fosse la dittatura. Ho fatto la mia iniziazione universitaria entrando in quella facoltà durante uno sciopero che è durato tre mesi. In quell'epoca la polizia entrava nelle aule. Ricordo quando abbiamo invitato Fernando Savater a un'assemblea di facoltà; è entrato dalla porta e si è appoggiato ad un armadio che si è mosso un po'. Allora ha detto: «Tutto trema». Quella era la situazione, l’ambiente. Nel mio corso c'erano tutte le forme di pensiero, ideologie diverse, io ero tra i pochi cristiani, per cui il tema del dialogo l'ho vissuto molto esistenzialmente.
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Passi avanti
Credo che un dialogo unilaterale sia una contradictio in terminis, però andando al di là dell’espressione, credo che esso sia possibile perché quando un artista fa qualche cosa, secondo me sta dialogando: con la realtà, con la natura o con qualcuno. Quindi lui, mentre fa arte, sta compiendo un atto dialogico, poi l’opera stessa, a sua volta, dialoga con noi fruitori, al di là dell’artista. Basta vedere i film, che vanno al di là di quello che i registi hanno voluto dire. Tarkovskij si arrabbiava sempre quando gli domandavano: «Ma lei cosa ha voluto dire con questo film?». Sappiamo che i film di Tarkovskij, sono molto complessi. Quando è uscito Lo specchio (1975) un film autobiografico, veramente un po’ difficile, qualcuno gli ha chiesto: «Qual è l’interpretazione del film?». E lui: «Questa domanda è impropria; io ho descritto lì in una certa maniera la mia vita, però ognuno deve trovare la propria vita attraverso la mia». Quindi il film dialoga con noi.
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